SEI NELL'AREA TEMATICA ‘ALLATTAMENTO’

Ecco uno dei tanti dilemmi delle neomamme!

Spesso tra i tanti consigli che ricevi, ci sono anche quelli che riguardano quanti seni offrire a ogni poppata. Il problema è che come in tante cose (tutte?) che riguardano l’allattamento, sembra che si dica tutto e il contrario di tutto.

Così troverai chi ti dice che devi offrire sempre entrambi i seni, chi invece giura che l’unico modo per far crescere bene il bambino è dare un solo seno alla volta, e chi non sa bene quale sia la regola giusta. Così non sai a chi dar retta!

Dove sta la verità?

Bè, in realtà spesso non si riflette sul fatto che c’è qualcuno che lo sa di sicuro… il tuo bambino!

Che però generalmente non viene interpellato.

Per leggere tutto l’articolo clicca qui.

Avete presente tutte le volte che vi hanno detto che allattando così spesso e a lungo stavate facendo diventare vostro figlio un mammone viziato e dipendente?

Che non si sarebbe mai staccato dalla vostra gonna?

Che dovevate dare un po’ di regole altrimenti tra n anni ne avreste pagato le conseguenze?

Ebbene, in realtà la scienza ci dice da decenni esattamente il contrario, peccato che l’”uomo della strada”, quello che regolarmente incontrate mentre state allattando il vostro figliolo, o che vi dispensa i suoi consigli, non conosca l’evidenza scientifica.
Periodicamente però si continua a studiare questi aspetti e proprio ultimamente è arrivata una nuova conferma a ciò che già noi addetti ai lavori ben sapevamo. Questo studio è particolarmente interessante perché ha riguardato un campione di popolazione piuttosto esteso, cosa che rende il risultato maggiormente valido e significativo.

Alcuni studiosi inglesi hanno indagato la relazione fra l’allattamento al seno o con formula, e gli effetti sul bambino, una volta diventato adulto, relativamente al suo successo sociale.

Sono stati esaminati i dati di un vastissimo studio cosiddetto “longitudinale”, cioè quel tipo di studio epidemiologico dove si osserva un certo numero di soggetti ripetutamente nel tempo; questo studio in particolare ha seguito migliaia di persone dalla nascita all’età adulta, ed esattamente sono stati presi in esame ben 17.419 soggetti nel 1958 e, di questi, 16.771 nel 1970.

I risultati dell’osservazione di questo campione rappresentativo hanno mostrato che l’avanzamento sociale era più frequente nel gruppo di soggetti allattati al seno nella prima infanzia, rispetto a un declassamento più probabile nei bambini alimentati con la formula. I test cognitivi hanno inoltre mostrato una correlazione stretta fra allattamento e punteggi più alti ai test.

L’allattamento al seno è legato a molti aspetti diversi: le sostanze contenute nel latte materno, fondamentali per uno sviluppo pieno e armonico del sistema nervoso; la relazione affettiva madre-figlio; la protezione dalle malattie; l’effetto positivo che l’esperienza dell’allattamento dà anche alla madre, rendendola più fiduciosa nelle sue capacità e più abile a comprendere i segnali del bambino e a comunicare con lui. Ciascuno di questi aspetti può incidere positivamente sull’intelligenza e le abilità sociali e quindi in un futuro potrebbe essere responsabile del successo sociale. I ricercatori pongono comunque l’attenzione su due aspetti in particolare: lo sviluppo del sistema nervoso, e la risposta allo stress (che è più efficace nel bambino allattato).

Questo beneficio dell’allattamento materno si va quindi ad aggiungere a tutti gli altri già ben noti.

Naturalmente sappiamo che il successo sociale di un individuo dipende da mille fattori (che sono stati esclusi nello studio per non confondere i ricercatori e i risultati dello studio stesso), e che se non avete allattato non dovete farvene un ulteriore rammarico (lo sapete come la pensiamo sui sensi di colpa delle mamme!!). Ma per noi è estremamente importante che i risultati di questi studi siano conosciuti innanzi tutto dagli operatori della salute, che non possono considerare l’allattamento alla stessa stregua di qualsiasi altro modo di alimentazione dei lattanti, e che dovrebbero tutti adoperarsi e battersi per sostenere e aiutare concretamente ogni donna ad allattare.

Questo studio è anche per ogni persona che pensa che allattare o non allattare sia alla fine la stessa cosa, e che a ogni minima difficoltà la donna non debba “stressarsi” e insistere a salvare il suo allattamento “tanto siamo tutti cresciuti bene anche col latte artificiale”. Tenetevi per voi questi commenti, e piuttosto date un incoraggiamento a quella mamma che sta tentando il possibile (e spesso l’impossibile) per dare il meglio a suo figlio!

Alcuni ricercatori di Hannover (Germania) hanno testato in vitro la capacità del latte umano di combattere il virus dell’epatite C. Trattando colture del virus HCV con latte materno fresco da donatrici sane, è stato possibile verificare che l’involucro virale veniva distrutto dagli acidi grassi insaturi del latte materno. Il merito è della lipasi, un enzima contenuto nella frazione grassa del latte, che scinde i grassi rendendoli appunto acidi grassi insaturi. Anche i processi digestivi nello stomaco del lattante, producendo questi acidi grassi, forniscono una protezione contro questo virus e contro, probabilmente, tutti gli altri virus dotati di un involucro protettivo, come l’herpes simplex o il virus dell’influenza.
L’effetto è specifico del latte umano e non è presente in altri latti animali né nella formula per lattanti. Il calore non toglie alla lipasi la sua efficacia, il che significa che questa preziosa funzione è mantenuta anche nel caso di latte umano pastorizzato delle banche del latte. Si è visto anche che conservando il latte materno fresco a 4° centigradi per un tempo prolungato ne AUMENTA l’effetto antivirale.

Gli studi epidemiologici avevano già appurato, a livello statistico, che l’epatite C non si trasmetteva verticalmente dalla mamma al figlio attraverso l’allattamento; infatti l’incidenza di epatite C nei neonati di madri portatrici era identica sia nelle madri che allattavano sia in quelle che alimentavano il figlio artificialmente. Adesso i ricercatori tedeschi hanno fornito una prova di laboratorio del meccanismo attraverso il quale il latte materno effettua la sua azione protettiva, dando così un’ulteriore rassicurazione alle madri portatrici di HCV che desiderano allattare al seno i loro figli.

http://bit.ly/GGK0gJ

Il vostro piccolo principe o principessa è appena nato, ma avete scoperto che è stato scambiato in culla con… un camionista (con tutto il rispetto per la categoria)!!!

Tutti si preoccupano infatti che faccia il suo bel ruttino, e magari anche più di uno, ad ogni fine poppata.

Così quando il pupo mangia, dopo la poppata ecco il dilemma: ruttino sì o no? L’ha fatto e non l’ho sentito? Era troppo poco e deve farne ancora? Deve farlo sempre o no? Cosa fare e quanto aspettare? E se non lo fa, posso metterlo giù?

E così ho incontrato genitori che stavano anche delle mezz’ore o ore intere ad aspettare questo fatidico evento, magari anche battendo in modo vigoroso ininterrottamente sulla schiena del malcapitato o macinando chilometri su e giù per il corridoio…

Ora vi svelerò un segreto: il ruttino non è obbligatorio :). Un bambino che non fa il ruttino non ha gravi problemi di salute. Un bambino sano non soffoca per l'(eventuale) rigurgito.

Ci sono bambini che lo fanno ‘sto benedetto ruttino e bambini che non lo fanno; quelli che finché non lo fanno non trovano pace, quelli per i quali è un evento random (a volte sì, a volte no), e quelli per i quali il ruttino è un evento rarissimo ed eccezionale.

Io dico sempre che i neonati si dividono in due categorie: i principini e principesse, e i camionisti appunto.

Come fate a sapere a che categoria appartiene il vostro? Datevi qualche settimana di tempo e lo scoprirete :).

Quindi se vi accorgete che è inutile mettere la vostra principessa giù prima che abbia eliminato la sua bolla d’aria nello stomaco in quanto strillerà fino al momento in cui non si è liberata, allora vi renderete conto che vale la pena godervi il dopo poppata con il relax di entrambe (mamma e figlia) finché non è avvenuto l’evento tanto atteso.

Ma se il vostro bambino invece non lo fa regolarmente o lo fa sporadicamente o dopo un’ora e mezza, lasciate perdere il ruttino: quando dovrà farlo lo farà – e ve lo farà capire se gli serve una mano!

Alcuni nonni vi dicono che se non fa il ruttino significa che non ha digerito, non ha digerito ”bene”, o cose del genere; in realtà il ruttino non è né più né meno quello che è: aria che esce dallo stomaco. Non c’entra niente con la digestione. Se avviene appena dopo o durante la poppata, a volte si porta su un pochino di latte, in tal caso ancora liquido. Se invece avviene dopo un po’ dalla poppata, può aver iniziato la digestione e quindi apparire come “ricottina”: la differenza di aspetto del latte rigurgitato quindi non è un segnale di problemi di digestione ma solo del momento in cui è stato rigurgitato.

Di solito poi non serve molto di più che tenerli in posizione un po’ eretta o semiseduta: insomma che la testa sia più in alto dello stomaco, in modo che la bolla d’aria sia facilitata a salir su. Una delle posizioni classiche che usano tanti genitori per esempio è col bambino appoggiato in modo che sbirci appena sopra la spalla.

Poi molti di voi si saranno accorti che se il pupo deve farlo, lo fa benissimo anche da sdraiato!

Alla fine, la regola è sempre la stessa: i bambini non sono tutti uguali, vanno osservati.

Potete rilassarvi allora e smettere di monitorare i ruttini: ci sono cose più interessanti e piacevoli di cui occuparvi coi vostri bimbi!

C’è però un’altra preoccupazione: e se poi gli vengono le coliche?? Le coliche non sono dovute all’aria nella pancia ma di questo ne abbiamo parlato già qui :).

Martina Carabetta, IBCLC

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…i rondinini prenderebbero l’aggiunta di insetti artificiali.
Mamma rondine palperebbe il gozzo dei piccoli per sapere se deve imbeccarli oppure no.
Papà rondine sarebbe ossessionato dal timore che gli insetti non siano sufficienti.
Le rondini avrebbero difficoltà a rigurgitare gli insetti nel becco dei loro piccoli, e prenderebbero farmaci per renderlo possibile.
Mamma e papà rondine andrebbero a un corso che spiega loro come imbeccare la prole, con quali orari e quali quantità.
Se le rondini avessero ditte che vendono sostituti del cibo naturale, verrebbe loro raccomandato di disinfettare il becco prima di introdurlo nei beccucci spalancati dei loro figli.
Medici rondine misurerebbero la lunghezza del becco dei genitori e il loro gozzo, decretando il primo “troppo corto” e il secondo “poco capace”.

Pediatri rondine sentenzierebbero che i rondinini non sono in grado di valutare quando hanno bisogno di cibo, e che i loro stridii sono un modo per “sviluppare i polmoni”, o forse un problema di reflusso.
Psichiatri rondine direbbero ai genitori che i rondinini, strillando, stanno cercando di manipolarli.

L’imposizione di orari distanziati e quantità limitate di insetti sarebbero considerati un modo per insegnare l’autonomia ai piccoli e “dargli le ali”.
Verrebbero fabbricati becchi finti con i quali imbeccare i rondinini per farli stare buoni finché non arriva l’orario dell’imbeccata vera.
Verrebbero costruiti nidi con le sbarre, separati da quello dei genitori, per impedire ai piccoli di b

uttarsi giù dal nido, e per insegnare loro l’indipendenza.
I genitori troppo solleciti a imbeccare i figli verrebbero accusati di “non volerli lasciare volar via”.
Consulenti professionali in imbeccamento materno insegnerebbero alle mamme rondine come far sì che i piccoli aprano bene il becco.
i genitori rondine verrebbero sottoposti a una dieta ristretta a pochi tipi di insetti, nella convinzione che insetti troppo saporiti inducano i rondinini a “rifiutare il becco della mamma”.

I nidi verrebbero costruiti negli anfratti più bui, in modo che l’atto di imbeccare non possa essere visto dall’esterno.
Verrebbero pubblicate delle curve di crescita che misurino la “giusta” lunghezza delle ali per ogni età dei nidiacei; chi non raggiunge lo standard verrebbe svezzato a pappine.
Molti rondinini diventerebbero così grassi per le aggiunte di insetti artificiali, da non riuscire a volare via dal nido.
Altri si ammalerebbero o deperirebbero. La colpa verrebbe data alla mania dei genitori di “imbeccarli a tutti i costi”.
Si suggerirebbe ai genitori di non imbeccarli per un periodo troppo lungo, per evitare di rovinare i propri becchi.
Si farebbero campagne sociali per garantire ad ogni coppia di rondini una fornitura di insetti artificiali nel caso che i propri non bastino.
Sulle confezioni di insetti artificiali sarebbe scritto: “L’imbeccamento naturale è il modo migliore di alimentare il tuo rondinino, ma se non hai abbastanza insetti oppure se devi tornare presto al lavoro di svolazzare, allora i nostri insetti sintetici ti daranno un cibo del tutto equivalente”.

Il tasso di mortalità dei rondinini aumenterebbe.
Si formerebbero gruppi di auto-aiuto da-rondine-a-rondine per reimparare l’antica “arte dell’imbeccamento”.
Un’industria di insetti artificiali si pubblicizzerebbe con slogan come: “dall’uovo al cielo, Nidiol è sempre con te”
Verrebbero fatte leggi per impedire la pubblicità aggressiva di insetti artificiali.Allo scopo di promuovere e difendere l’imbeccamento naturale, verrebbe fondata la WAPA, world alliance for peckfeeding action.

…Per fortuna, le industrie del cibo per l’infanzia non hanno ancora trovato il modo di spiegare alle rondini come devono imbeccare i loro piccoli; e, soprattutto, non hanno ancora trovato il modo di farsi pagare i loro prodotti.
Così le rondini continuano, come sempre hanno fatto, a volare felicemente avanti e indietro con il gozzo pieno di

insetti e a imbeccare i loro piccoli, accorrendo prontamente ai loro richiami; e i piccoli continuano a spalancare i beccucci e a farsi ingozzare felici.

Per fortuna, anche i genitori umani stanno cominciando a capire che accudire i loro neonati è una faccenda di pelle, di baci, di tenere poppate, di rispetto e amore, e non una questione di bilance, orologi e tabelle di crescita; e stanno

ricominciando a tenere i loro bimbi in braccio, con sé giorno e notte, dormire con loro, allattarli a richiesta, rispondendo con sensibilità ai loro segnali.
E così sempre sarà, a dispetto di tutte le indicazioni contrarie.
Finché ci saranno insetti, ali, rondini, braccia e seni materni…

Antonella Sagone, IBCLC, psicologa

immagine tratta da: http://www.nzdl.org/gsdl/collect/fnl2.2/archives/HASHc292.dir/p47.gif

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Dopo il parto molte mamme si preoccupano di quando torneranno al peso che avevano prima della gravidanza. Per alcune questo è un vero chiodo fisso! Spero vivamente che non lo sia per te, ed eccomi comunque per rassicurarti 🙂

I kg che si mettono su in gravidanza servono alla crescita del tuo bambino/a ovviamente: man mano che il feto cresce, ha un suo peso, così come anche pesano l’utero che cresce, i tuoi liquidi, la placenta, il liquido amniotico, ecc.

Ma dopo il parto di solito le neomamme non perdono subito tutti i kg acquistati gradualmente durante i nove mesi. Come mai?

Questo accade intanto perché il nostro corpo cambia e c’è un assestamento postparto graduale (l’utero per esempio impiega circa un mese per tornare alle dimensioni di prima della gravidanza: considera che era diventato circa 15 volte più grande!).

Inoltre, il corpo durante la gravidanza “mette da parte” delle scorte extra per il post parto. Infatti, la Natura sa che la futura mamma farà un lavoro nuovo e fisicamente impegnativo una volta che il piccolo sarà nato, e quindi fa preparare il corpo in anticipo. Queste “scorte” si traducono in qualche chiletto in più che resta nel post parto e che serve per il lavoro che la Natura si aspetta che tu faccia come neomamma: accudire un bimbo piccolo in effetti è un vero e proprio lavoro!
Purtroppo però le aspettative della società sono che tu ritorni alla tua forma di “prima” in quattro e quattr’otto! Ma questo è impensabile: ci hai messo ben 9 mesi ad arrivare allo stato di prima del parto, e non puoi certo allargarti e restringerti come se fossi un palloncino (sai che tragedia per la tua pelle sarebbe??!!).
Bisogna quindi innanzitutto avere aspettative realistiche sui tempi ragionevoli per tornare al peso che avevi prima di restare incinta, e poi, con qualche accortezza puoi smaltire i kg rimasti senza troppa fatica in modo estremamente graduale  nei mesi successivi. In che modo?

Allatta!

Allattare è il modo più semplice per eliminare queste scorte, perché stanno lì proprio per questo! Tra l’altro, le donne tipicamente mettono le riserve sotto il punto vita, e le rimuovono dopo la gravidanza, allattando perchè sono quelle che la Natura ha previsto proprio per quando abbiamo i nostri cuccioli. Questo è il motivo per cui quando si sta a dieta non allattando, fianchi e cosce sono i punti più “resistenti”!

Quando allatti, consumi senza fare altro dalle 200 fino a ben 500 Kcalorie o più al giorno!

500 Kcal corrispondono più o meno a un bel piatto di 100 gr di spaghetti al sugo, o di secondo di carne. Questo significa che smaltirai la pasta del pranzo senza dover fare niente di speciale, semplicemente mentre durante il giorno stai comodamente sul tuo divano ad allattare.

Naturalmente lo “smaltimento” avverrà in modo graduale e sarà maggiore se allatti esclusivamente a richiesta, perché la domanda per il tuo corpo è maggiore rispetto a chi allatta parzialmente. Ragionevolmente puoi tornare al peso di prima in 6 mesi, 9 se hai messo su tanti kg.

Di solito quindi se allatti necessiti di un introito calorico leggermente superiore al suo solito, ma certo questo dipende anche da come mangiavi prima. Se prima di rimanere incinta eri della categoria “insalata scondita-pasta in bianco due forchettate o petto di pollo ai ferri”, è ora di rivedere le tue conoscenze di educazione alimentare e sicuramente avrai necessità di calorie in più. Ma se già prima tendevi a mangiare un po’ abbondante o c’era da rivedere qualcosa nella tua dieta in quantità o ancor più in qualità, la gravidanza o se non l’hai fatto allora, l’allattamento sono il momento giusto per correggere la tua dieta e quella della tua famiglia.

Altri consigli utili:

–          Non saltare mai la colazione!

–          Fai 5 pasti al giorno. Evita lunghe ore di fame nera e poi un pasto troppo abbondante

–          Mangia almeno 5 porzioni di frutta e verdura ogni giorno)

– Mangia lentamente e mastica bene! L’input cerebrale della sazietà in questo modo arriverà quando ancora non hai iniziato il bis!

–          Scopri (o riscopri) i cibi integrali: pane, pasta, cereali vari, ecc

–          Evita come la peste le calorie vuote: zucchero bianco, bevande gasate/zuccherate, merendine, grassi saturi, cibo fast food ecc

–          Usa “spazzafame” sani e gustosi ed evita quelli ipercalorici industriali: molto meglio una merenda fatta da te con quello che hai in frigo!

–          Se il peso è stazionario, analizza le porzioni che prepari: sono troppo abbondanti? Prova a ridurle di un 10% e guarda che succede dopo un mese

–          Fai un po’ di attività fisica! Un bimbo piccolo è un’occasione unica per fare movimento. Non è vero che fare movimento o un po’ di attività fisica nuoce al latte. Ma non c’è bisogno di iscriversi in palestra. Basta che non ti tappi in casa, perché anche se fuori fa freddo, non uscirete mica in pigiama alle 5 del mattino no?! Copriti in modo da sentirti alla temperatura giusta e esci con la fascia: è ginnastica gratis quotidiana! Oppure vieni a fare con noi lo yoga insieme al tuo bimbo/a!

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C’è un momento della giornata che moltissime mamme attendono con ansia: il tardo pomeriggio.
In questa ora fatidica, anche il tuo angioletto si trasforma e diventa un noioso, lagnoso, esigente poppatore senza pause?!
Come mai?
La preoccupazione tipica -in agguato sempre nell’angolino della mente della mamma che allatta- si affaccia e ti bisbiglia: oh, povera me, non ho abbastanza latte?
Se invece in questi momenti classici c’è qualcuno in casa con te, il bisbiglio diventa una voce melliflua che ti consiglia caldamente di dare un’aggiunta, perché “cara, è evidente che non ti basta il latte a quest’ora, sono già tre volte che ti richiede il seno!”.

Diciamoci la verità, quando diventiamo genitori molti di noi vengono colpiti da una patologia ossessivo-compulsiva che in altri momenti della vita vedrebbe le persone che ci vogliono bene trascinarci più o meno di corsa da “uno veramente bravo” 🙂
La fissazione sulla cacca del pupo!!!
Adulti per il resto perfettamente sani di mente, diventano feticisti del pannolino.
Decine di telefonate tra mamme, nonne, zie, amiche del cuore, nelle quali si disserta della sfumatura di giallo o di verde…
Per non parlare della “letteratura mammesca”, quella in cui ogni segreto più puzzolente (è proprio il caso di dirlo…) viene svelato.
E se il pupo non fa la cacca?
TRAGEDIA!!!!!!
Poi, come al solito, se la mamma ha anche l’impudenza di allattare, ogni pannolino viene esaminato perché sicuramente ci dice qualcosa che regolarmente non va proprio nell’allattamento (come al solito…)!
Ragazzi, diamoci una regolata! La cacca dei neonati merita davvero tutta questa attenzione?

Prima o poi, quello che è entrato, deve uscire.

Davvero tutte le volte che fa – o non fa – la cacca, è il segnale di qualcosa che non funziona nell’allattamento o nel latte di mamma? I neonati quando nascono devono imparare a fare un sacco di cose che nell’utero non servivano, perché le cose lì dentro funzionavano in modo totalmente differente. Alla nascita, tra le varie novità, c’è pure quella di dover evacuare. Ma se non l’ha mai fatto, il nostro eroe, forse ha bisogno di impegnarcisi un po’, di fare “pratica”, non credete?
E così ecco che si spreme, diventa tutto rosso, si concentra per minuti e minuti, e spesso si interrompe pure nel bel mezzo della poppata…
Poi finalmente ecco che il prodotto di tanto lavoro, esce da dove deve uscire e… è liquido o poco ci manca! E allora? Tutta ‘sta fatica?? Per due/tre cucchiai di cremina gialla o verde?? 🙂
Diciamoci la verità: la cacca di un bambino allattato non dà l’idea di essere difficile da evacuare.
Ma insomma, mettiamoci nei suoi panni!! Ve l’ho detto: non l’ha mai fatto prima, sta imparando. Il meccanismo con il quale ognuno di noi evacua, cioè elimina attraverso le feci le sostanze di scarto, si chiama “torchio intestinale”. In pratica, si tratta di un lavoro dei muscoli intorno all’ano, che “spremono” le feci fuori dal nostro corpo. Come tutti i lavori muscolari, c’è da imparare come farli, e quanta forza metterci, e questo per il bambino può non essere così automatico ed intuitivo.

Dobbiamo allora dargli una mano? No, assolutamente no! Bando a termometrini, gambi di prezzemolo, e per carità, a clisterini vari.
L’aiutino avrà l’effetto esattamente contrario di quello che ci prefiggiamo: il bimbo non potrà imparare dai segnali del suo corpo, ma rea

girà da uno stimolo esterno. Proprio il modo giusto per non renderlo “autonomo” in una funzione fisiologica che deve imparare a gestire da solo.

E se non la fa tutti i giorni?
Un bambino allattato di solito nelle prime settimane fa la cacca tantissime volte, anche ad ogni poppata, perché ha un riflesso ch
e si chiama “riflesso gastro-colico”. Grazie a questo riflesso, quando il latte scende nello stomaco, l’intestino si libera (leggi anche qua: http://www.consulenteallattamento.it/2016/02/insomma-ma-la-cacca-la-deve-fare-sempre-tutti-i-giorni-o-no/). Ma questo riflesso poi passa (pensate un po’ se rimanesse sempre!) e così i genitori iniziano a preoccuparsi perchè si sono abituati a tanta abbondanza di scariche e pensano alla stitichezza. In realtà, un bimbo allattato, dopo circa le 6 settimane, può stare diversi giorni (anche una settimana!) senza fare la cacca, perchè il latte materno non contiene “sostanze di scarto”, crea così poca massa fecale, e il pupo per così dire, ne “ammucchia” un po’ prima di buttarla via. Riprende di solito a farne di più all’introduzione dei cibi solidi.

Ci sono alcune rare situazioni – e sottolineo il “rare” – dove ci possono essere dei problemi di allattamento, o gestione delle poppate, che tra le varie altre cose si manifestano anche con cambiamenti nella cacca del pupo. Se quindi sei preoccupata o in dubbio, rivolgiti alla IBCLC; che farà un’analisi a 360° della situazione, per verificare che non sia niente di preoccupante, o mandarti dal pediatra per ulteriori accertamenti.

 


Oggi affrontiamo una delle domande più gettonate delle neomamme, domanda alla quale potresti ricevere 300 risposte diverse che possono gettarti nella totale confusione mentale: quanto tempo tenere il bambino al seno?

Quando io ho partorito, quasi 20 anni fa, era in voga ancora la rigidità dell’allattamento ad orari, quindi a noi neomamme dicevano di allattare ogni 3 ore e mezza, ed esattamente alle 9,00, alle 12,30, e così via.

Inoltre ci dicevano di tenere il bambino per 15 minuti a seno.

Anzi no, a me alcuni dissero 15 minuti per seno, ma alla mia vicina di casa dissero 10 minuti a seno, e ad un’altra ancora dissero 7 e 7. Dato che eravamo tutte neomamme alle prime armi, e passavamo ore nel giardino davanti casa parlando di pannolini, cacche, bavette e poppate, abbiamo disquisito parecchio sul tema senza riuscire a spiegarci il perché di tali discrepanze. Francamente non siamo riuscite a trovare una spiegazione valida, neanche chiedendola direttamente proprio a chi ci aveva dato tali indicazioni :).

Anche se le informazioni sull’allattamento e la sua fisiologia hanno fatto passi da gigante nel nostro Paese negli ultimi anni, questa storiella del guardare l’orologio quando si inizia la poppata, ancora circola ampiamente: sopravvive resistendo stoicamente al progredire della scienza, confondendo non poche mamme che si chiedono ancora come mai i loro pupi nascano senza un orologio interno. E che motivi si adducono oggi come 20 anni fa?

Una delle motivazioni addotte spesso era ed è ancora che se il pupo sta troppo tempo, allora fa venire le ragadi o “macera” i capezzoli…

Le indicazioni che puoi sentire vanno dai 5 minuti per seno, ai 7, 10, 15, o addirittura 15 minuti per entrambi i seni, divisi equamente (e, mi viene da chiedere, come posso fare se non ho la lancetta dei secondi sull’orologio??).

Quale realtà scientifica c’è dietro queste prescrizioni?

La gente che dice ‘ste cose probabilmente non solo sa ben poco di allattamento (io lo chiamo infatti il TEST N° 1 SULLA COMPETENZA), ma neanche ha mai allattato :). Infatti, nel 90% delle volte, il dolore peggiore la mamma lo sente nei primi DIECI SECONDI, all’attacco, e semmai dopo qualche minuto ne sente un pò meno. E poi, cosa mai avrà in bocca la creatura, per macerare la pelle? Ma per piacere…

Se c’è dolore o ragadi il problema non è nella durata della poppata ma nella sua qualità. Dobbiamo quindi andare a vedere COME si attacca il bimbo, non per quanto tempo.

Esiste allora davvero un motivo valido per dare una cadenza al tempo per tenere i bambini al seno a ogni poppata?

La risposta è un categorico NO.

Intanto usiamo la testa: gli orologi sono beni relativamente moderni, e di lusso fino ad almeno un secolo fa. All’epoca delle nostre bisnonne, forse al massimo il marito, l’uomo di casa, aveva l’orologio, ma figurati se la donna greca o romana o dell’età della pietra avesse un modo per contare i minuti!!

La prima riflessione quindi è: se la Natura avesse previsto che era necessario contare i minuti, non ci avrebbe provviste, che so, di un cronometro incorporato nella tetta?

Seconda riflessione: quando il tuo bambino si attacca al seno, fa sempre “pranzi”? Cioè, possibile che debba prendere sempre la stessa quantità e qualità di latte e nello stesso tempo? Se questa regola valesse per gli adulti, la nostra vita sarebbe molto diversa…

Invece, noi facciamo pranzi e cene, ma anche colazioni, a volte con calma seduti a tavola, altre volte in piedi di fretta con un caffè veloce… Anche un lattante ha momenti in cui deve prendere di più, e altri in cui ne vuole meno, e ci mette dei tempi diversi.

E quando ci mettiamo a tavola, ognuno di noi adulti ha tempi estremamente diversi: fai la prova stasera quando vi metterete a tavola, uno di voi finirà sicuramente prima :).

Butta via allora gli orologi!

Se il tuo bimbo cresce bene e tu non hai dolori all’attacco e/o durante la poppata, tutto procede bene e non c’è bisogno di guardare i tempi.

I bambini si autoregolano perfettamente.

Nella fase neonatale o se ci sono problemi di attacco o posizione (che portano a dolori, ragadi, mastiti, ecc) o se il bambino sta attaccato per molto tempo (molto più di mezz’ora) e poi appare sempre insoddisfatto, in questi casi particolari hai probabilmente bisogno di farti vedere da una Consulente in allattamento e verificare se nella gestione dell’allattamento c’è qualche correzione da apportare. E probabilmente senza dover guardare l’orologio 🙂

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Martina Carabetta, IBCLC (Consulente Professionale in Allattamento Materno)

Latte & Coccole – Roma

E SE POI PRENDE IL VIZIO?

 

Lunedì 22 OTTOBRE alle ore 11.00 e a alle ore  14.00 *

 

con Alessandra Bortolotti. autrice  del libro “E se poi prende il vizio?  Pregiudizi culturali e bisogni irrinunciabili dei nostri bambini” Ed. Leone Verde
 

– Perché mio figlio vuole stare sempre   in braccio?

– Devo farlo piangere?

– Perché mi sta sempre appiccicato?

– Lo sto viziando se allatto a richiesta?


 

Alessandra Bortolotti è psicologa perinatale e madre di due bimbe; si occupa da anni di  puericultura e di fisiologia di gravidanza, parto e allattamento. Consulente di numerose riviste e siti internet dedicati ai genitori, scrive su varie pubblicazioni scientifiche. Ideatrice e curatrice del sito www.psicologiaperinatale.it. Conduce incontri “dopo parto” in provincia di Firenze.

L’incontro è a offerta libera e volontaria. Gli spiccioli raccolti serviranno a pagare le spese per la trasferta dell’autrice. Prenotate via mail o telefono perché i posti sono limitati. Si accetteranno le iscrizioni in ordine di arrivo. Alla fine dell’incontro potranno essere acquistate copie del libro –  Chiamateci per info sugli altri incontri 2012!

* ATTENZIONE!!! I POSTI SONO QUASI ESAURITI! PRENOTATE PREFERIBILMENTE PER LE 14.00. SE NON POTETE ALLE 14.00 SCRIVETECI O CHIAMATECI SUBITO! POTREMO ACCETTARE ANCORA POCHE PRENOTAZIONI IN ORDINE DI ARRIVO.

SPECIFICATE ANCHE SE VOLETE UNA COPIA DEL LIBRO.

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Il nuovissimo libro sullo svezzamento



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